…Erano paesaggi totalmente immaginati, fuori dal tempo, che alcuni anni fa avrei voluto distruggere perché pensavo non si inserissero in nessun contesto di ricerca successiva. Impegnato agli inizi degli anni settanta in tutto quello che capitava, il problema era che ci si prendeva sempre troppo sul serio: politica, giornalismo, contestazione, teatro, musica! Mi rifugiavo così in questo esercizio, in queste visioni-evasioni, nel paesaggio di un make up assoluto, atemporale, che avrebbe potuto stare dovunque. Una nuova Arcadia, piuttosto nordica però, che aveva le sue radici nella fenomenologia di certa iconografia romantica delle Alpi e in fotografia forse in Ansel Adams…
Fu comunque lo scultore Paolo Icaro, ad una piccola mostra antologica, a leggere complessivamente il tutto indicando un senso di magicità sempre poi presente; una sospensione in divenire…
Riflettendoci di nuovo, quel nero matericamente trasparente, ritornerà come concetto, come abisso nelle scansioni degli interfotogrammi…il senso del fluire nell’impostazione orizzontale sarà una costante caratteristica. Questa dilatazione nasce paradossalmente in una valle, la val Tartano, spigolosa e compressa dove però la luce, anche dell’estate, riusciva sempre ad essere radente e scultorea. Il senso orizzontale emerge quindi come reazione ad un paesaggio che mi aveva del resto sempre circondato: dalla culla, al cortile, alla montagna incombente sopra casa e alle pareti del lago.
E’ proprio la chiusura del tetto a triangolo, definito dalla luce, a generare uno dei segni primordiali che sarà poi ripreso ad esempio nei Ritrovamenti dove diverrà lettera nella ricostruzione di un alfabeto derivato, come nelle sue origini, dalle stesse cose quotidiane…
(da “Immagini FotoPratica”, n.316, maggio giugno 1998)